giovedì 31 dicembre 2009

Quando nasce una famiglia?

dal libro "Quando l’attesa si interrompe" di Giorgia Cozza
Il leone verde Edizioni 2009
 
Quando nasce una famiglia?
di Diana Mayer Grego

Quando nasce una famiglia? Quando due persone si uniscono per condividere la loro vita insieme.
 
Quando nasce una madre? Nel momento in cui la donna decide di dare la vita ad un altro essere umano.
 
È proprio in quell’istante che la donna inizia il suo percorso di madre; più o meno consapevolmente comincia a fare spazio nella sua mente e nel suo corpo che accoglierà la nuova vita, abbandonandosi a sogni che rendono concreta la sua maternità e iniziando a confrontarsi con la comunità che la circonda in un modo diverso, informandosi, istruendosi e imparando. Un percorso che cresce, dal test “positivo” al portare in grembo il proprio figlio, reale, tangibile, con il quale inizia uno scambio intimo già dai primi mesi, calcetti, singhiozzi, risposte alle stimolazioni vocali: tutto ciò rende il legame viscerale.
Attendere la nascita del proprio figlio è il periodo più bello della vita per una donna: mesi di sogni, preparazioni, acquisti, la cameretta, il lettino e soprattutto la proiezione verso la vita futura.
Questo cammino sconvolge e travolge con gioia e preoccupazioni; nella maggior parte dei casi le gioie prevalgono sulle preoccupazioni, in altri casi sono le “preoccupazioni” a travolgere la vita stessa.
La gravidanza non è una malattia e non va vissuta come tale, ma purtroppo si può rivelare una tragedia. Sono molte le patologie che colpiscono le donne in gravidanza, alcune senza un perché, un’eziologia, alcune sottovalutate; colpiscono con crudeltà e trasformano la gravidanza in una malattia, che molto spesso si conclude con l’esito più drammatico. Molte di queste patologie inducono i medici ad intervenire con il parto pretermine, unica possibile “terapia” per salvare la madre e dare una possibilità al nascituro.
La maggioranza dei parti si esplica con taglio cesareo e la madre, solitamente, assiste sveglia alla nascita e vede il suo bambino per pochi istanti, prima che sia portato in Terapia Intensiva Neonatale.
 
La madre si sente svuotata nel corpo e nell’anima, ma si impone una ripresa molto rapida, in quanto deve seguire il suo bambino in TIN. La madre sa che suo figlio ha bisogno di lei, le è stato strappato troppo presto e anche lei ha bisogno di vederlo, toccarlo, assicurarsi che tutto vada bene. Questi casi sono spesso molto gravi e i medici rendono partecipi e coscienti i genitori, tuttavia la madre non è “programmata” per capire pienamente quello che sta succedendo.
Nella sua mente sfugge il pensiero che il figlio sia in pericolo di vita.
Lei deve solo accudirlo, proteggerlo, sfamarlo, amarlo e crescerlo. Per mesi si è preparata a questo compito.
 
I bambini nati prematuri sono tenaci, pieni di voglia di vivere e grandi lottatori, ma sono anche tanto piccoli e molto delicati, così, purtroppo, la maggior parte di loro vola via anche dopo mesi di premurose cure. A quel punto la madre è privata del figlio, ma anche di tutto quel mondo che per mesi aveva fatto crescere attorno a sé e sprofonda nel dolore più devastante. Il lutto colpisce tutta la famiglia ed ognuno ha i suoi tempi e modi di reazione.
Durante i mesi di gravidanza la madre ha creato una simbiosi con il figlio, ma anche il padre ha preso coscienza di questo piccolo che sta per affacciarsi al mondo e dopo la nascita lo ha accudito nel reparto di TIN in misura uguale alla madre. Anche per lui la perdita del figlio è devastante e la peggiore colpa che si addossa è quella di non aver saputo proteggere il suo bambino, di non aver potuto agire per il suo benessere ed è pervaso da un senso di impotenza che, se non ben elaborato, si porterà dietro per tutta la vita.
 
Immaginiamo il dolore di due genitori che questo figlio l’hanno visto nascere, lo hanno accudito e accarezzato, guardandolo si sono persi dentro i suoi occhi, hanno trovato in lui tratti di famiglia. Toccandolo, anche se attraverso l’incubatrice, hanno creato un legame inscindibile, eterno, soffrendo per ogni suo respiro, tremando ad ogni allarme dei macchinari ai quali il loro bambino era collegato, piangendo ad ogni “bollettino medico”, cullandolo nel momento della morte, stringendolo in un caldo abbraccio come a non volerlo lasciare andare via. Questo dolore è atroce!
E lo è ancor di più per la perdita di identità di questo figlio, la cui vita troppo breve sembra venir facilmente dimenticata, cancellata dal resto del mondo. La sua esistenza viene annullata, liquidata con un “Siete giovani, ne farete un altro!” o “È stato meglio così!”.  Ma possiamo considerare un incidente di percorso un figlio vissuto ore, giorni o mesi? Eppure questo accade.
Troppo spesso i genitori si trovano soli ed al dolore per la perdita si aggiunge la pena di un figlio “mai esistito”.
La nostra società non è preparata ad affrontare la morte dei neonati, prematuri o meno, e tende a nasconderli come dolori scomodi. Ed uno degli scopi della nostra associazione è proprio di ridare identità a questi bambini e ai loro genitori.